LA DIVINA COMMEDIA
di Dante Alighieri
INFERNO
Inferno Canto I
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
Tant è amara che poco è più morte;
Io non so ben ridir com i vintrai,
Ma poi chi fui al piè dun colle giunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
Allor fu la paura un poco queta,
E come quei che con lena affannata,
così lanimo mio, chancor fuggiva,
Poi chèi posato un poco il corpo lasso,
Ed ecco, quasi al cominciar de lerta,
e non mi si partia dinanzi al volto,
Temp era dal principio del mattino,
mosse di prima quelle cose belle;
lora del tempo e la dolce stagione;
Questi parea che contra me venisse
Ed una lupa, che di tutte brame
questa mi porse tanto di gravezza
E qual è quei che volontieri acquista,
tal mi fece la bestia sanza pace,
Mentre chi rovinava in basso loco,
Quando vidi costui nel gran diserto,
Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
Poeta fui, e cantai di quel giusto
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
«Or se tu quel Virgilio e quella fonte
«O de li altri poeti onore e lume,
Tu se lo mio maestro e l mio autore,
Vedi la bestia per cu io mi volsi;
«A te convien tenere altro vïaggio»,
ché questa bestia, per la qual tu gride,
e ha natura sì malvagia e ria,
Molti son li animali a cui sammoglia,
Questi non ciberà terra né peltro,
Di quella umile Italia fia salute
Questi la caccerà per ogne villa,
Ond io per lo tuo me penso e discerno
ove udirai le disperate strida,
e vederai color che son contenti
A le quai poi se tu vorrai salire,
ché quello imperador che là sù regna,
In tutte parti impera e quivi regge;
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
che tu mi meni là dov or dicesti,
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Inferno Canto II
Lo giorno se nandava, e laere bruno
mapparecchiava a sostener la guerra
O muse, o alto ingegno, or maiutate;
Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
Tu dici che di Silvïo il parente,
Però, se lavversario dogne male
non pare indegno ad omo dintelletto;
la quale e l quale, a voler dir lo vero,
Per quest andata onde li dai tu vanto,
Andovvi poi lo Vas delezïone,
Ma io, perché venirvi? o chi l concede?
Per che, se del venire io mabbandono,
E qual è quei che disvuol ciò che volle
tal mi fec ïo n quella oscura costa,
«Si ho ben la parola tua intesa»,
la qual molte fïate lomo ingombra
Da questa tema acciò che tu ti solve,
Io era tra color che son sospesi,
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
O anima cortese mantoana,
lamico mio, e non de la ventura,
e temo che non sia già sì smarrito,
Or movi, e con la tua parola ornata
I son Beatrice che ti faccio andare;
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
O donna di virtù sola per cui
tanto maggrada il tuo comandamento,
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
Da che tu vuo saver cotanto a dentro,
Temer si dee di sole quelle cose
I son fatta da Dio, sua mercé, tale,
Donna è gentil nel ciel che si compiange
Questa chiese Lucia in suo dimando